Foggia, servono orgoglio e coraggio per uscire dal tunnel del torpore!

I giocatori del Foggia sotto la Curva Sud durante la contestazione (Foto: Antonello Forcelli)

Il grigiore della depressione. È il nemico numero uno da combattere. L’alta quota si è rivelata indigesta. La velocità del suono insopportabile per neofiti dell’ambizione. Eppure i segnali erano stati incoraggianti. Forse troppo. Era stata solo un’illusione? Il Foggia ha smarrito la trebisonda. Si è avviluppato in un cliché che rischia di depauperarne le risorse soprattutto psicologiche. Quelle fisiche (che pure appaiono in momentanea riserva!) si recuperano. Gli affanni di una preparazione “a singhiozzo” (visti i rammendi allo “stallo” atletico di alcuni elementi fermi da tempo) stanno cominciando a chiedere il conto, ma il lavoro rimargina questo tipo di ferite. Più preoccupante – secondo noi – è invece il calo di sfrontatezza. La perdita di autostima. Come se l’insostenibile pesantezza di due colpi di testa falliti a porta sguarnita (quelli di Vezzoni con il Benevento e Garattoni con il Sorrento, tradotto in soldoni 4 punti in meno!) avesse provocato il corto circuito delle sicurezze acquisite nelle prime settimane di campionato.

Ansia e timore hanno preso il dominio di ragazzi oppressi forse nella mente. Da una richiesta, quella di essere vincenti, che per il momento non è per loro esaudibile. L’alchimia nella gestione delle prestazioni è svanita, mortificata dagli errori di Crotone e Picerno. Il cinismo che aveva trasformato il Foggia in un complesso rock dall’anima impura si è dileguato nella “pampa” di conclusioni fallite nei momenti “chirurgici” della partita. Con il senno di poi si può dire anche che il camaleonte in maschera che Cudini spiattellava in faccia ad avversari è diventato un’arma a doppio taglio quando si è andati in deficit di convinzione. E quando il sacro furore degli Dei del football si è incapricciato contro miseri mortali, colpevoli di centrare traverse al 94’ e transitare nel buio cosmico di un rinnovato timore. Le carenze sull’out mancino sono esplose in maniera fragorosa: Rizzo, che pure con il Sorrento si è ben destreggiato da quarto a sinistra prima di alzare bandiera bianca, era la chiave di violino di una sinfonia difensiva fatta di accordi armoniosi. Il taglio di Ravasio in occasione del gol del Sorrento è la dimostrazione plastica che Alberto serve come il pane accanto a Carillo e Salines (un po’ annebbiato e in debito di concentrazione). Ma se Rizzo scala indietro, per la mediana esterna resta solo il volenteroso ma pur sempre acerbo Vezzoni. Lì ci sarà da intervenire in maniera celere e mirata.

E allora: da cosa ripartire? L’avventura in Coppa Italia si è chiusa prematuramente ad Avellino: un peccato ripensando al cammino del passato torneo (interrottosi solo in semifinale contro il «fenomeno» Huijsen), un epilogo logico considerando le attuali differenze tra Lupi e Satanelli. Bussola orientata dunque sul campionato. C’è la capolista Juve Stabia nel Monday night. Ci sono orgoglio e coraggio da ritrovare. C’è da riorganizzare uno schema granitico su cui ricostruire impenetrabilità e fiducia. Senza esperimenti in corso d’opera. Spetterà agli elementi “decorati” del gruppo cambiare l’inerzia di un corso scattato in uno stato d’ebbrezza inattesa ma infilatosi oggi in un tunnel di oscuro torpore. Il giovane vive d’entusiasmo ma è in conflitto perenne con la continuità. Tocca agli “anziani” fare la voce grossa: dal capitano Garattoni a Peralta, passando per Rizzo, Carillo, Vacca, Di Noia e Schenetti. Ultima chiamata al “gate” della rinascita, invece, per Beretta. Jack deve dirci se è ancora da Foggia o meno. Detta così, nuda e cruda. Su Tounkara, poi, ci rimettiamo alla clemenza della corte (e della speranza!): per ora, poche chance e sesquipedali punti interrogativi!

E Cudini? Anche D’Artagnan deve riaffilare le lame. Alcune decisioni ci sono parse da matita rossa. La concretezza resta la sua àncora, ma deve imporre il carisma del suo ruolo. Trasmettere furore oltre che conoscenze tecnico-tattiche. A Foggia l’allenatore non è padrone del tempo! Il giudizio è sferzante. Severo. Nessuno è più dell’idea che il tifoso ha della sua squadra. Risalire la china è doveroso, con determinazione… Il satanello non ha paura dell’inferno perché là è sempre vissuto. Il suo terrore vero è il purgatorio. La mediocrità. L’unica condizione esistenziale che in Capitanata non si riesce proprio a sopportare!