Quella luce fioca in fondo al tunnel si sta ravvivando! Il pensiero torna per un attimo al canto del cigno di una parentesi “squinternata”. Al “bye bye Brighton de’ noantri” e al ritorno di Cudini. C’erano grandi perplessità sull’opportunità di puntare ancora sul mister di Porto S. Elpidio, dubbi suscitati (e alimentati a colpi di statistiche!) da un profilo ritenuto inadatto alla piazza, ingabbiato nei limiti di un pedigree futbolistico “non erudito”. D’Artagnan non ha mai replicato. Si è ritirato nel silenzio. Meditando sugli errori che – evidentemente – aveva commesso. Il primo. Secondo noi il più importante. L’aver subito il mercato estivo, giocandolo appena in difesa, forse intimorito dall’occasione capitatagli fra le mani che gli ha consigliato un “low profile” con la dirigenza. Ha accettato i «fuori rosa» (delitto di lesa maestà, tra questi c’era anche Odjer!) e gli «scontenti» rimasti a trascinare stancamente un gruppo oramai logoro. Che pure a inizio torneo aveva illuso in tanti (noi compresi) sulla sua voglia di urlare contro l’ingiustizia Lecco.
Il Cudini bis è nato invece con una radicale inversione di ruoli. Da marcatore ad attaccante. L’allenatore come parte attiva delle scelte finali di gennaio. La rivoluzione come nuovo trampolino di lancio. Non più “venti animali” e la malsana imitazione del “dezerbismo senza… De Zerbi”, ma una squadra disposta a lottare per la sopravvivenza in categoria. D’Artagnan ha dettato – a nostro avviso – il cambio di passo. Negli uomini, in primis. Li ha voluti tutti funzionali e in cerca di riscatto. In più (ma questo lo aggiungiamo noi!) sono arrivati elementi “senza vizi d’origine foggiana”. Nessun cavallo di ritorno contagiato dal morbo di un passato glorioso. Pochi vezzi da esibire e la sola voglia di sudare e spingere sull’acceleratore della rabbia.
Oggi il Foggia ha salutato, in gran parte, le sue paure. Era atteso da Crotone, Benevento e Picerno. Ha scavallato la salita con eleganza, ottenendo sei punti con prestazioni in crescendo e una forza morale che ha permesso ai satanelli di “gabbare” anche la sorte che li ha privati di uno dei giocatori più affidabili, Luigi Carillo, aggiuntosi all’amico Marzupio nella lista degli indisponibili sino a fine stagione. Del trittico di partite resta l’esplosione (anche nei meme sui social) di “Gatto” Silvestro con gli Squali di Baldini, la sola palla gol (peraltro letale) concessa e il palo di Millico al Vigorito e due immagini simbolo con i lucani di Longo: Salines che omaggia proprio Carillo dopo il gol del vantaggio (segno di una truppa davvero coesa) e – al minuto 86’ – il passaggio di fascia dal braccio dell’uscente Di Noia a quello di Odjer.
Non un particolare da poco quest’ultimo. Moses è il “fuori quota” del Foggia (una volta se ne convocavano due per la Nazionale U21!). E non certo per una questione anagrafica! È l’elemento in più, l’inesauribile motorino, il tessitore di trame proprie e il disfacitore di quelle altrui. È l’intelligenza della semplicità. È lo specchio di una formazione che carica rimpianti (almeno vedendo le prestazioni di alcune compagini di alta classifica) ma che guarda al futuro con rinnovata fiducia senza peraltro cavalcare l’onda lunga dell’illusione. Moses è oggi il leader carismatico (assieme a Millico, ma per lui c’è la provvidenza di un talento «over the top»!) sul terreno di gioco. È colui al quale si può sempre dare la palla, quello che se la perdi la va a riprendere per te, il talismano che non esce più, dopo mesi di “incomprensibili” soggiorni in panchina (altro peccato del primo Cudini, anche se lì c’è da valutare l’influenza del fattore «minutaggio» sulle scelte di formazione!). Per diventare leader, diceva Julio Velasco, occorre essere ottimisti. “L’ottimista è uno che crede che le cose si possano sempre migliorare!” Ecco: Moses, visto dall’esterno, ci dà l’impressione di chi vuole migliorarsi e far migliorare la sua squadra malgrado il contachilometri in carriera sia già in ”overbooking”. Per questo è stato l’anima della riscossa.
La sua firma, quella di Salines e Rolando, quella di Vincenzino e del Gatto… ma soprattutto (i suoi detrattori ce lo concedano) quella di Mirko Cudini. “Il merito è della squadra, questo è certo!”, direbbe il tecnico marchigiano nel suo tipico slang colloquiale. E come dargli torto. Ma ci perdoni il mister se ci permettiamo di dissentire un po’: forse sulla rinascita (per ora solo parziale!) del Foggia c’è anche la sua impronta. Stavolta decisa e vincente!