Avremmo voluto scrivere di calcio. E saremmo andati controcorrente perché a noi il Foggia con la Casertana non era affatto dispiaciuto. Avremmo voluto dire una parola agli scettici, richiamare i doverosi compiti di scelta di un allenatore. Avremmo ricordato a chi lamenta il defenestramento di Murano che Gallo tenne in naftalina Schenetti a lungo per poi rilanciarlo dopo un addestramento specifico e con uno spirito differente. Avemmo voluto opinare di tagli e sovrapposizioni, analizzare momenti di gioco, esprimere “personalissimi punti di vista”, sguazzare felici tra tesi e antitesi, sollecitare approfondimenti, alimentare discussioni. Magari sterili ma comunque goduriose per chi – come noi – si nutre del confronto dialettico! Lo avremmo voluto, ma il potere dell’alfabeto ha lasciato il posto alla solidarietà del silenzio…
La morte ha bussato ancora. Rovinosa. Ha colpito di nuovo la comunità foggiana, le ha inflitto la punizione più dura. Si è portata via un altro dei suoi ragazzi. Era giovanissimo. Lo sguardo pulito. Il tamburo di fianco. L’innocenza dell’età, la passione come ideale. Samuele ha lottato come un leone. Il genitore che alberga in ognuno di noi si sente angosciato. Sconfitto. Impotente. Ed è uno stato d’animo terribile. Chi crede ha la speranza. Ha la forza della preghiera a cui appellarsi per non sprofondare nelle tenebre dell’inferno…
Il calcio è emozione, è calore. L’opposto del gelo di una bara. È partecipazione e condivisione. Soprattutto quando lo vivi da Ultrà. Essere ultrà, come qualcuno annotò tempo fa, è quasi una filosofia esistenziale. È il cordone ombelicale mai reciso. È l’esigenza (più che il senso) dell’appartenenza. È un codice, a volte scritto con articoli e commi incomprensibili. Talvolta anche ruvidi. È il gruppo che indica i comportamenti. Che tutela i suoi simboli. La sciarpetta come altare di una religione naturale. La ritualità ripetuta. La generosità mai sbandierata! Lo scudo, la protezione. Per questo – crediamo, noi che pure non conosciamo bene quel mondo – è stato ancora più duro per gli ultras accettare una vicenda come quella accaduta il 13 ottobre scorso. Perché non c’è stata possibilità di difendere i più piccoli. Di quelli che normalmente vengono tenuti lontani dai moti insurrezionali, di quelli intorno a cui si crea un fortino, di quelli ai quali lasciare negli anni l’eredità dei valori e l’armonia dei colori…
E allora resta il rispetto, il ricordo, l’aiuto alle famiglie, le corse in ospedale. Rimane la scelta di soffrire nel raccoglimento laico della partita. Senza cori. Il Foggia tornerà in campo a Torre del Greco domenica. Ci sarà, speriamo, un minuto di raccoglimento e il lutto al braccio. Torneremo ad appassionarci alla “singolar tenzone” del tappeto verde, riparleremo della “cocciutaggine” tutta marsicana di mister Zauri. Delle esclusioni eccellenti e della restaurazione del «Millicocentrismo» (citazione dell’amico e collega Alessandro Tosques), di una stagione che non svolta e di un rigurgito nei giudizi di un infido guelfismo ideologico…
Oggi però è il giorno della commozione. Della schiva riflessione. Domani, quello del saluto a un ragazzo al quale – semplicemente – piaceva suonare il tamburo nel frastuono della sua curva…