L’etica del gruppo. La classe operaia che va in Paradiso. Un film del 1971 che racconta anonime vicende di fabbrica. Il protagonista è Lulù. Tutto intorno, una realtà surreale. Come l’epica del Foggia, il baratro e la resurrezione. Un nucleo monolitico, scheggiato ma mai vilipeso. Tranne che a Torre del Greco. Lo schiaffo della nemesi. La notte dell’ultima umiliazione!
Ecco il Foggia versione D’Artagnan 2.0. L’alba dopo le tenebre. La squadra del popolo. Senza più imprenditori di sé stessi, ma con tanti lavoratori al servizio della massa. La Juve Stabia è stata la miglior squadra vista allo Zaccheria. Nessun dubbio al riguardo. I rossoneri erano depauperati di forze e sostanze, cosa altrettanto indiscutibile. Però c’è una legge del campo. C’è l’orgoglio. C’è il temperamento. C’è la corsa. C’è il ragazzo geniale con il destro telecomandato. Attenti al Foggia di Millico: ogni cross un pericolo, ogni corner una potenziale occasione da gol! Tutto per una balistica che – tramandano i cantori del Vecchio Filadelfia – era già poesia ai tempi del Toro!
Il Foggia è di Vincenzino che è puro estro (e carisma in ascesa!), ma non esiste Kaká senza Gattuso. La classe operaia finalmente in Paradiso! Con le vespe che “ronzavano” organizzazione e sicurezza, i satanelli non avevano difesa. Ai lungodegenti Marzupio e Carillo, e all’appena rientrante Rizzo (evidentemente senza ritmo partita nelle gambe), si erano uniti gli altri due indisponibili Salines e Di Noia. Il deserto numerico e tecnico! E invece la griffe sulla vittoria è stata firmata proprio da due comprimari del reparto arretrato, Ercolani (a proposito: auguri dal neo dottore Luca) e Riccardi, che al di là del tempismo aereo sotto porta sono stati monumentali quando c’era da sigillare il successo. Una concentrazione feroce, un’applicazione violenta. La riscossa dei numeri… due. E con loro c’è stata la riscoperta di Papazov, pochi spiccioli di campionato sinora ma un apporto robusto nella lucida serrata di fine partita, alla quale però hanno contribuito in maniera decisiva anche i rientri di Gagliano (sostituto di un altro assente illustre, il bomber Santaniello), in genere un buon piede e uno stacco notevole, nell’occasione un’infinità disponibilità al sacrificio per l’intero arco della contesa. Senza dimenticare il Vezzo, percentualmente il più “migliorato” dell’intera rosa. Oggi, l’esterno di scuola Inter è diventato un “top player” (per categoria e livello del torneo!) della squadra di Cudini.
Eccola allora la classe operaia (l’indispensabilità di Odjer, la freschezza di Silvestro e la ruvida energia di Tascone sono di default) che va in Paradiso. Un paradiso che s’incornicia nelle stanche membra del tempio pagano del football rossonero: lo Zaccheria. Non c’è la gente di sempre, gli spalti sono popolati a macchia di leopardo, il rumore è affievolito dai silenzi della ribellione. Ma resta il covo della squadra. L’altare di una città che ha festeggiato i 100 anni di un altro suo simbolo storico, la Fontana del Sele. Là dove la foggianità espresse – una domenica di qualche anno fa – la fusione nucleare tra passione e sogno…
Ebbene è sul terreno (non impeccabile!) dello Zaccheria che il Foggia si è ritrovato. È lì che ha costruito il suo piccolo impero. Fatto di autostima, convinzione e – perdonateci una dialettica squisitamente algebrica – di punti. Tanti in confronto a quelli conquistati lontano dalla Capitanata. Il conto è presto fatto: 32 in 17 incontri, alla media di 1,88 a partita. Fuori casa, il rendimento è stato molto diverso: 10 punti in 15 match, media 0,66 a confronto. In buona sostanza, a Foggia i rossoneri hanno ottenuto il 76% dei punti incamerati sinora. Ma non finisce qui. Perché nel loro stadio, i satanelli hanno conquistato 9 delle 11 vittorie messe a referto e hanno rimontato un risultato sfavorevole in sei occasioni. In principio fu la Turris, la sciabolata fortunata di Embalo e la «estirada» di Salines; poi la zampata sempre di Carlos contro il Sorrento. E ancora l’imperioso stacco di Santaniello con il Catania; il terrore e il riscatto contro il Monopoli simboleggiati dalla fuga di Millico e dalla prepotente definizione “in cielo” di Gagliano. Infine gli ultimi due capolavori: il doppio graffio del «Gatto» contro il Crotone e l’appena citata “impresa” con la Juve Stabia, che aveva anestetizzato i rossoneri con il ruggito del… Leone (tanto per rimanere in tema faunistico!).
Fattore Zac, dunque. La scialuppa su cui salire con il mare in tempesta. Prossimo step, recuperare “strafottenza” anche in trasferta. C’è subito l’insidioso Messina (senza Vezzoni e Riccardi squalificati, tanto per non farci mancare niente), poi il Latina… oltre non vediamo. Viaggi a rischio, match per combattenti. Sfide per capitani coraggiosi. Ma soprattutto, manifestazioni sindacali per operai che – nel frattempo – sono già saliti sul treno che va a… Paradiso città!