Dopo i due capitoli dedicati alla massima serie e alla cadetteria, ci buttiamo subito a testa bassa sulla terza serie sperando di essere bravi, veloci e non eccessivamente prolissi, così magari da dedicare spazio quanto più ampio possibile anche alle categorie minori.
Se da sempre queste latitudini sono il serbatoio principale di tante realtà storiche del calcio di provincia, di quelle in declino intente non sempre con successo a rilanciarsi, di quelle consumate dall’oblio, di quelle che sognano possa essere il trampolino di lancio come tante piccole che all’improvviso hanno dato vita alla loro personale versione di “favola calcistica”, alla stessa maniera è lateralmente ad esse che si muove un sottobosco di tifoserie di sicuro interesse. Grandi che soffrono di claustrofobia, grandi senza essere state mai grandi, piccole ma volenterose, piccole e basta. C’è letteralmente un mondo in questa terza serie. Il vero prisma da cui osservare l’Italia fuori dalla lente deformante del calcio patinato e drogato dai soldi delle pay-tv.
Questa in particolare è stata un’annata agrodolce, con qualche buon verdetto fra promozioni e salvezze ma che ha offerto diversi bocconi amari a chi è stato contrapposto dalla sorte infausta a qualche rampante sodalizio in stato di grazia o a chi è stato illuso e poi ucciso da quella formula perversa che sono i playoff di Lega Pro. Certo anche il fatto di intestardirsi su tre gironi da venti squadre l’uno in un campionato che ad ogni fine stagione, e spesso anche durante, è un’ulteriore mortificante mazzata per chi bazzica questi lidi ma procediamo per ordine, girone per girone, finendo poi per buttare un occhio a quel che è successo in quella tonnara degli spareggi.
Nel Girone A tutti gli amanti del vecchio calcio o che comunque si illudono che i verdetti del campo possano e debbano avere una qualche considerazione di quella che è la situazione sugli spalti, hanno tutti inutilmente fatto il tifo per il Padova. Inutilmente perché poi il campionato l’ha vinto il Sudtirol, arrivato ad aver ragione dei più blasonati avversari non certo per caso, ma nato a Bressanone e poi spostatosi a Bolzano, non ha radicato attorno a sé alcun seguito di un certo interesse. In un centro dove da sempre è l’hockey su ghiaccio ad attirare le maggiori simpatie del pubblico, anche ultras (più di qualcuno ricorderà le storiche Mele Marce Bolzano…), difficilmente basterà la B a invertire il trend o far impennare i numeri. Per i biancoscudati al terzo assalto fallito alla cadetteria (per la seconda volta fermandosi in finale playoff…), potremmo dire che c’è almeno la consolazione della fine telenovela legata allo stadio Euganeo ma non è così. Il mai amato impianto che aveva soppiantato lo storico Appiani, ha visto soprattutto gli ultras fra i suoi principali detrattori a causa di un settore a dir poco anti-tifo, scomodo e lontano dal campo, a cui la stessa tifoseria organizzata aveva preferito la Tribuna Fattori. Quest’anno sembrava che i lavori dovessero finalmente essere ad uno snodo cruciale, sono effettivamente partiti e si sperava che i tifosi più accesi potessero finalmente avere una casa vera e propria per la nuova stagione agonistica, ma inevitabilmente la maledizione che sembra aleggiare su quest’impianto ha colpito ancora. Adducendo mancanza di materie prime infatti, il Comune di Padova ha fatto sapere che i lavori hanno subito un ulteriore slittamento e – ad andar bene – forse per fine campionato potranno finalmente concludersi. Non senza un ulteriore esborso di denaro. Inutile dire che gli ultras patavini si sono fatti sentire ed hanno protestato ampiamente.
Per il resto davvero pochi sussulti in questo girone che probabilmente era il meno ricco dal punto di vista del tifo. L’altra rivelazione dal mero punto di vista calcistico, la Feralpi Salò, ne è la summa massima con i suoi 320 spettatori di media (fonte l’immenso Stadiapostcard come tutte le altre medie riportate). Non che le altre siano state capaci di fare meglio. Certo ampiamente condizionate da tutte le restrizioni Covid in virtù delle quali in tanti hanno preferito aspettare alla finestra momenti migliori, ma in tutto il girone oltre alle già citate prime due in classifica, Sudtirol e Padova che hanno potuto quindi avvantaggiarsi dell’avvincente testa a testa, solo Mantova e Piacenza sono state in grado di superare la fatidica quota mille. Due tifoserie di comprovata tradizione che per quanto non assoceremmo immediatamente ai grandissimi numeri, hanno invece fatto fino in fondo la loro parte. Annata particolare a Piacenza anche per la scomparsa del leader storico Davide Reboli, a pochi anni di distanza da suo fratello Marco a cui la Curva Nord era stata dedicata. Fra le altre cose, in ricordo dei due fratelli è stato anche inaugurato da poco un murale, un atto quasi dovuto verrebbe da dire, per quanto hanno speso in nome della loro passione calcistica, checché ne dica chi anche in questo caso ha trovato il pretesto per aizzare inutili e tristi polemiche.
Fra le grandi Triestina, Lecco e Pro Vercelli hanno portato a compimento la classica stagione senza infamia e senza lode. Stendiamo un velo pietoso sulla Juventus B, progetto meramente economico-strutturale dei piemontesi, una sorta di allevamento di polli in batteria che è l’unica (non) risposta che i vertici calcistici hanno saputo dare alla crisi del calcio di provincia.
Dopo il fresco ritorno nel professionismo, il Trento che i malati di tifo amano e seguono dai tempi degli Ultras Trento 1978, è riuscito a pergiungere alla salvezza seppur dalla strada più contorta e pericolosa dei play-out. Così come fatto dalla Pro Sesto fra l’altro, una delle tante compagini storiche della periferia calcistica ma che da anni ha il suo onesto e sempre appassionato seguito. Uscite sconfitte da queste sfide Giana Erminio e Seregno che hanno raggiunto quindi il Legnago Salus già retrocesso direttamente.
Veramente elettrizzante il Girone B dove la battaglia fra Modena e Reggiana è stato un vero e proprio inno al calcio, nonché una bella iniezione di entusiasmo per le sue tifoserie. Per quella gialloblù soprattutto che aveva bisogno di una scintilla per ricompattarsi dopo un assestamento che, a seguito del vuoto lasciato dal progetto Curva Sud Modena, faticava a completarsi. Stagione clamorosa dopo l’avvento della famiglia Rivetti alla guida dei Canarini che hanno trasformato in una cavalcata trionfale quella che in ragione dell’inizio al piccolo trotto, sembrava più che altro un’annata di passaggio verso obiettivi futuri comunque importanti. D’altronde, ceduto il marchio Stone Island, caro anche a tanti “curvaioli”, per la bellezza di 1,15 miliardi di euro, non si può dire che ai Rivetti manchino i fondi e men che meno le idee innovative. Peccato per Reggio Emilia per la quale la divisione del tifo in due settori non sembra un problema ma una risorsa. Sulla quale si spera possa fondarsi un subitaneo riscatto che una tifoseria da qualche anno costantemente sugli scudi meriterebbe senza dubbio.
Tutte retrocessioni pesanti in termini di tifo in questo raggruppamento, Grosseto senza nemmeno l’appello dei play-off (ultimissimo in classifica ma sorprendentemente in controtendenza nella media spettatori, la 7a del girone: 1.298) e Pistoiese e Fermana che invece sono uscite sconfitte da detti spareggi. Ad aver la meglio in tale occasione sono state Imolese e Viterbese. Molto più ricco di rappresentanze ultras di spessore, tanto che oltre agli oltre 5.000 della vincente e agli oltre 4.500 della seconda in classifica, si segnalano ben 7 piazze oltre (o ben oltre) la soglia dei mille su cui si barcamenavano fra mille difficoltà i colleghi più a nord.
La solida certezze resta Cesena, città verso cui converge un po’ tutta la Romagna (rivali esclusi ovviamente…) a supporto del Cavaluccio. Stagione ai vertici ma senza mai minimamente impensierire il duo di testa, in ben 4.416 di media sono accorsi allo Stadio Manuzzi nella speranza di trovare la B magari attraverso la porta di servizio dei play-off. Non che ci credessero davvero ma nemmeno si aspettavano di uscire così miseramente, tanto che a fine stagione l’addio a Viali e ai suoi ragazzi, sempre sostenuti e incoraggiati, non è stato proprio sereno.
Quarta media del girone per il Pescara, altra squadra nelle parti nobili della classifica ma senza mai convincere e dove da anni si trascina un rapporto tutt’altro che idilliaco con il patron Sebastiani: 2.423 gli spettatori in media nelle gare interne dei biancazzurri.
Ragionando proporzionalmente agli eventi in campo, a situazioni societarie non proprio limpide e sicuramente condizionanti in termini di motivazioni, non si può che applaudire ai 2.280 con cui, a ruota, segue il Siena, che da poco ha finalmente visto la nebulosa dirigenza armena passare il pacchetto di maggioranza. E speriamo che – come spesso capita nel bistrattato pallone – non sia un passaggio dalla padella alla brace.
Procedendo in termini di pubblico anziché di classifica, in 2.106 hanno salutato il salto in alto con ritorno al professionismo dell’Ancona. Sbalorditivi a tratti ad inizio campionato quando, in diverse circostanze, soprattutto in trasferta, avevano fatto registrare vere e proprie invasioni, i dorici si sono poi man mano andati attestando su numeri minori. Dalla parte opposta della barricata, per mero sfottò o talvolta con polemiche dagli intenti più costruttivi, in tanti hanno biasimato questo facile entusiasmo per quello che a rigor di denominazione è Ancona Matelica, cioè l’ennesima transumanza di titoli sportivi che secondo gli intransigenti oppositori del cosiddetto calcio moderno meritava boicottaggi e non ampio seguito.
Per ragioni di spazio e per non limitarsi ad un mero snocciolare dati, ci fermiamo alla piazza numero 8 in termini di media con 1.278 spettatori, ossia il Teramo, ma più che altro perché, in questa rovente estate, il Diavolo abruzzese ha visto infrangersi per l’ennesima volta i propri sogni contro il muro della Covisoc, venendo escluso dall’imminente stagione di C. Solidarietà ai ragazzi della Curva e a tutta la tifoseria che ancora una volta si ritrova con il proprio futuro appeso ad un filo.
Nel girone più meridionale della terza serie, da sempre autentica roccaforte di passione al punto da sembrare spesso una sorte di Serie B2, il campo ha avuto quasi un unico padrone, cioè il Bari. Arresosi ai gemellati della Reggina nella stagione precedente, quest’anno hanno se non proprio dominato in lungo e in largo, quantomeno amministrato il proprio potere con sagacia. Devastante invece, almeno dal punto di vista numerico, lo strapotere esercitato sugli spalti dai biancorossi, presenti al San Nicola in media con 10.288 anime, numeri che nemmeno in tutta la Serie B (Lecce escluso) hanno avvicinato.
Al secondo posto, per intenderci della portata di questi numeri che nessuno in tutti e tre i gironi ha nemmeno osato sognare, c’è il Palermo fermatosi a poco più della metà con 5.758, comunque anch’esso dato più alto di ben 500 spettatori rispetto a tutte le altre squadre di C. I rosanero sono poi riusciti a strappare rocambolescamente il biglietto dalla insana lotteria dei play-off dopo lo scontro fratricida con i gemellati del Padova. E se le sfortune non vengono mai da sole, certe volte accade lo stesso anche con le fortune, visto che i siciliani sono stati acquisiti dal City Football Group, holding degli Emirati Arabi che detiene in rete anche Manchester City, New York City FC, Melbourne City e tante altre squadre in ogni angolo del mondo. Se poi questa sia fino in fondo una fortuna è difficile a dirsi dalla prospettiva di chi non riesce proprio a rassegnarsi alle multiproprietà e a questo neo calcio in genere, sempre più orientato al business e sempre meno al rispetto dei tifosi o delle tradizioni.
Retrocessa direttamente in Serie D la Vibonese dove la disaffezione del pubblico è pressoché totale (367 spettatori in media…) e purtroppo anche il Catania, altra vittima illustre delle gestioni a dir poco avventurose nello sport più amato e meno controllato in Italia. A rendere vergognoso l’epilogo etneo è che, in barba a quel che andava ciarlando Tavecchio quando ci diceva “Mai più un caso Parma”, i rosso-azzurri sono stati esclusi a soli tre turni dal termine riscrivendo totalmente un campionato a cui forse avrebbero fatto meglio a non ammettere proprio, anziché far spallucce come al solito e poi mortificare i sacrifici di tutto un anno di tifosi (encomiabili: 3.217 in media, quinti assoluti nel Girone C), addetti ai lavori, calciatori e tutto l’indotto nel suo complesso. Se c’è qualcosa che è davvero la rovina del calcio è tutta qua, e sarebbe forse ora che la smettessero di incolpare i tifosi che, esempi come questi alla mano, sono poi i soli a rimanere a pagarne lo scotto e raccogliere i cocci. Vergognosi!
L’altra retrocessa in Serie D a seguito dei playout è stata invece la Paganese, solo 871 spettatori di media, 17esimi in questa speciale classifica di pubblico che però non dice sempre tutto visto che, al di là dei numeri, va fatto anche un discorso qualitativo, di crescita e compattezza che a Pagani è senza dubbio ben più positivo di quello che la fredda statistica dice. Da quando tutte le anime del tifo campano sono di nuove convogliate all’unisono in Curva Nord, a prescindere dalla quantità, il loro apporto è migliorato sensibilmente e innegabilmente. Cosa che non può che essere il miglior viatico per tentare quanto prima un ritorno in C.
A discapito degli azzurro-stellati, a salvarsi nel duplice scontro salvezza è stata la Fidelis Andria, altra compagine su cui i numeri non dicono tutto. A dispetto della terz’ultima posizione in graduatoria, gli andriesi hanno avuto in ogni caso il nono pubblico con 1.983 presenze. Il dato ugualmente positivo non rende però giustizia di una realtà davvero di spessore. Attaccata alla maglia, presente ovunque anche se in campo sono anni che non arrivano grandi soddisfazioni, continua e calorosa. Andria conserva un’identità tutta sua e degli elevati standard anche se e quando si ritrova a subire l’ingombrante cono d’ombra di Bari (con la quale hanno anche un fraterno rapporto, oltretutto) che quando prende a girare come in questa stagione, potrebbe togliere un po’ di linfa vitale agli svevi. Eppur non si direbbe, a giudicare da quello che si vede e si sente sugli spalti del Degli Ulivi. Una tifoseria, quella andriese, che rimane “ignorante” o “rozza” ma nel senso buono del termine, uguale a quello che è sempre stata non per incapacità di evolversi quanto per rifiuto di accordarsi a delle mode imperversanti attraverso social e piattaforme video varie che schiacciano e rendono sempre più difficile distinguere una tifoserie svedese, da una tedesca o balcanica per questa sì pratico ma indiscriminato ricorso al total black. Giusto per dirne una eh, perché di fattori omologanti ce ne sono tanti in questo mondo che ha nel suo codice genetico la ricerca costante dell’originalità non dell’omologazione.
Parlato dei vari verdetti, prima di chiudere questo lungo excursus è d’obbligo qualche altra citazione in virtù dei numeri espressi allo stadio. Terza forza è Foggia con 3.858 spettatori medi. Bene ripetere anche fino allo sfinimento che questi non significano granché ma contestualizzandoli in una stagione altalenante, con una dirigenza altrettanto instabile e a pochi anni dall’ennesimo fallimento che li ha portati dalla B alla D, forse aiutano a capire il valore comunque importante della tifoseria. Un valore che, quando s’è ritrovata a potersela giocare sullo stesso piano delle compagini della Serie B, Foggia ha inequivocabilmente dimostrato di essere su livelli altissimi, fra le primissime dell’intero Stivale.
Altra pugliese fra le note positive è Taranto, tornata in C e per la prima volta riuscita a salvarsi dall’estenuante ascensore fra categoria, ha fatto registrare 3.291 spettatori a stretto giro dello scioglimento del Gruppo Zuffa, perdita pesante per la qualità e la tradizione di cui lo stesso si faceva portatore ma che è stata arginata da buone presenze. A seguire Catanzaro (2.837), Avellino (2.795), Campobasso (2.334, ahimè anch’esso appena escluso) e poi tutte le altre. Sempre e comunque al di sopra dei mille spettatori, soglia sotto la quale sono scese solo le già citate Paganese, Vibonese, Picerno (556) e Monterosi (343). Eccezioni che confermano la regola: sarà un luogo comune ma la passione dei campi meridionali è oggettivamente e statisticamente superiore.
fonte: Matteo Falcone – sportpeople.net