Suona più o meno così. Il Foggia ha giocato la partita che serviva per questa categoria. È la sintesi del pensiero di Mirko Cudini dopo Catania. Un altro mattoncino di una casa che il mister sta costruendo sulla roccia. E proprio all’allenatore marchigiano, da noi ribattezzato «D’Artagnan» per quella chioma che ricorda tanto i moschettieri, vogliamo dedicare qualche riga, nei giorni successivi al piccolo capolavoro di acume e scaltrezza del Massimino.
Henry Ford diceva: “Ritrovarsi insieme è un inizio, restare insieme è un progresso, ma riuscire a lavorare insieme è un successo”. Cominciamo da qui. E dettagliamo le conquiste (squisitamente parziali!) dell’ex tecnico di Campobasso e Andria. I suoi ragazzi si sono “ritrovati insieme” alla spicciolata. In ritiro s’invocava l’aiuto divino per completare le squadre per una partitina. Cudini non ha mai sbraitato né teatralmente protestato. Era l’avvio. Ha fatto notare che mancavano giocatori ma ha preparato professionalmente quelli che c’erano. Non se n’è andato più nessuno. “Restare insieme” è stato il passo successivo, il primo di una crescita che è apparsa costante. Allenatore, staff e calciatori si sono conosciuti. E hanno cominciato davvero a “lavorare insieme”. Il 2-0 di Catania è tutto qui. Nella condivisione della sofferenza e nella distribuzione della fatica!
“Se le formiche si mettono d’accordo, possono spostare un elefante”, lo racconta la saggezza ancestrale dei popoli del Burkina Faso. Il riferimento all’Elefante non è casuale, perché è il simbolo di Catania, città dal meraviglioso vociare di profumi e sapori… Non che i rossazzurri fossero un gigante rispetto al Foggia, ma la contingenza aveva reso la vittoria una missione quasi impossibile. Gli eventi, infatti, avevano scritto l’ennesimo capitolo della saga dedicata alla “sfiga cosmica rossonera”: prima la perdita di Rizzo nel riscaldamento (con Frigerio, Tounkara e Beretta nemmeno convocati), poi la rinuncia quasi contemporanea a Garattoni e Marzupio. Tutto congiurava contro le legioni dei satanelli. La difesa composta da Salines, Papazov, Carillo e Antonacci (e poi Vezzoni) sembrava una banda di “pivellini” al cospetto di navigati banditori del football di categoria. E invece – anche con l’aiuto della dea bendata (ma ricordiamo che Napoleone preferiva i generali fortunati a quelli bravi!) – la linea Maginot foggiana ha retto e il guizzo di Marino (altra scommessa sinora vinta dal mister) ha decretato l’inattesa resurrezione. Tutti i sostituti sono stati all’altezza della situazione. Pensiamo sia un grande merito di Cudini: nessuno infatti si sente fuori dal progetto. Ai margini del progetto stesso, invece, c’era finito – in maniera forse inspiegabile – Tommaso Nobile. Quando avevamo commentato la sua prestazione con il Giugliano avevamo espresso un giudizio negativo sul suo impiego dopo un lungo stop. Invece aveva ragione Cudini. Che lo ha osservato in allenamento e ha fatto la sua scelta definitiva (ed era peraltro ciò che si chiedeva per un ruolo delicato come quello del portiere).
Su «mister D’Artagnan» avevamo un dubbio quasi recondito: il rischio che l’estetica del gioco ne minasse la lucidità di lettura. Perché così – a volte – era accaduto in passato. O almeno così ci era parso. Il mister, però, ha fatto tesoro degli errori (solo presunti, peraltro!) e si sta rivelando un ottimo stratega. Le intuizioni nei cambi e la capacità di stringere la squadra con il passaggio alla retroguardia a cinque senza però rinunciare alla doppia punta (ha avuto il coraggio di buttare nella mischia il “ragazzino” Idrissou) sono stati segnali di rapidità di pensiero e azione. Il trionfo al vecchio Cibali porta anche la sua firma.
Ma la vittoria più grande di Cudini – a nostro parere – è stata quella di aver capito che Foggia è Foggia. Il ruolo di comparsa non si addice alla sua gente e alla sua squadra. E lui si è calato nel ruolo di “condottiero” con umiltà e un’opportuna dose di pragmatismo. Per incendiare lo Zaccheria, che contro la Turris riaprirà finalmente le porte, ci sarà tempo. Nel frattempo lui sta trasformando dei singoli in collettività. Perché “(…) con il talento si vincono le partite, ma con il lavoro di squadra e l’intelligenza si vincono i campionati”. Lo rammentava un tale Michael Jeffrey Jordan, il mitico MJ, forse il più grande atleta di sempre…